Tra il già e il non ancora: approcciarsi a un esame

Quando abbiamo iniziato la pratica dell’Aikido, abbiamo ricevuto dal nostro maestro una copia del programma tecnico.

La particolarità consisteva nel fatto che, per ogni grado, veniva data un’indicazione sulla modalità d’esame. Si partiva da queste indicazioni per il primo esame da quinto kyu:

Non esiste una reale possibilità di essere respinti al test.
L’insegnante comunicherà al candidato la necessità per quest’ultimo di sostenere l’esame e quindi verrà fissata di comune accordo la data dello stesso.

Man mano si progrediva di intensità, le indicazioni sottolineavano l’esigenza dell’aumento di consapevolezza e autocritica. Per esempio, per la cintura nera veniva detto:

Non sono più tollerati errori riconducibili alla nomenclatura tecnica ed alla conoscenza di suburi, kata, awase e kumi di base di ken e jo. A questo livello si richiede che il candidato abbia sviluppato una capacità critica nettamente autonoma, inerente la schematizzazione didattica della disciplina praticata.

Era richiesta anche una conoscenza basilare della storia dell’Aikido e della biografia del suo Fondatore.

Come approcciarsi ad un esame? Come vivere questi snodi della pratica marziale?

Se guardiamo l’esperienza comune, una buona definizione di un esame è: una fotografia che collega il “già” e il “non ancora”.

Uno studente che si prepara ad un esame conosce già parecchi aspetti della materia ma non ha ancora superato l’esame.

Un universitario che abbia superato anche tutti gli esami ha già un buon curriculum ma non ha ancora discusso la tesi.

Un laureato in ingegneria ha già una laurea…Ma se non ha dato l’esame di stato non è ancora abilitato a firmare dei progetti e certi lavori non potrà mai farli.

Se invertiamo la direzione del tempo e rovesciamo la prospettiva, in quel bambino che sessant’anni più tardi è diventato un premio Nobel, c’era già la sua storia. C’era già tutto ma non si era ancora manifestato.

Tutto vero. Tutto molto romantico.

Però.

Accettare di rimanere in equilibrio sul “celeste ponte fluttuante” tra il già e il non ancora richiede coraggio e l’accettazione preventiva della frustrazione.

La frustrazione di non essere soddisfatti talvolta dalle proprie performance. Di alternare giornate in cui ci pare di avere capito tutto ad altre in cui siamo impacciati e goffi. Di avere compreso a livello mentale quanto dobbiamo fare e di non riuscire a esprimerlo in modo fluido a livello fisico. A volte anche viceversa.

E’ dura per noi, persone abituate ad andare in un supermercato e trovare frutta tropicale anche d’inverno sugli scaffali, ritrovarci per quello che siamo: esseri che fanno parte di un sistema naturale. E la natura, per produrre i suoi frutti, richiede tempo. Esige potature e innesti. Talvolta robusti trattamenti antiparassitari. La primavera richiede l’accettazione del rischio della sterilità dell’inverno.

Eppure l’essere umano è l’unico essere capace di progettare e immaginare il futuro, anche a lunghissimo termine. Da questa tensione sono nate e nascono le grandi realizzazioni dell’umanità – e anche i più grandi disastri.

L’esame, appunto.

Quella tensione e quel desiderio che lo alimentano, lo trasformano in un punto di svolta: comunque vada, l’esame ti trasforma e ti cambia. Per questo motivo riteniamo che sostenere un esame, un test non appena ci siano le condizioni, sia fondamentale per un percorso di crescita.

Soprattutto in situazioni come quelle in cui pratichiamo e insegniamo, dove ci sono due sessioni all’anno di fronte a una commissione diversa dai propri insegnanti, che stimolano allievi e insegnanti a un reciproco ingaggio e alla responsabilizzazione. Il metodo tradizionale -l’insegnante ti conosce, sa quando sei pronto, una sera ti esamina e ti dà il grado- aveva i suoi lati positivi. Ma toglieva all’esame, per quanto severo, la possibilità di essere utile per una crescita a tutto tondo, che parte dal confronto con persone che non sono i tuoi insegnanti, in ambienti che non sono quelli in cui ordinariamente pratichi.

Aspettare, non ritenersi mai pronti è un modo per rimanere fermi tanto quanto andare allo sbaraglio. Così, tanto per.

Le grandi realizzazioni nascono dal coraggio di puntare al non ancora, sulla base di quello che si è già.

Del resto, l’Aikido consiste nel realizzare ciò che manca.

Disclaimer: Foto di ThisIsEngineering da Pexels

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